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Internet nacque per la condivisione di informazioni tra gli utenti. In seguito gli stessi utenti son diventati creatori inconsapevoli di dati nuovi, numerosi e semplici da raccogliere. Questa è in breve la storia del World Wide Web.
Cookie, codici di identificazione e tool di tracciamento online sono oggi il cuore della nuova digital economy, ma qualcosa sta cambiando.

La rivoluzione dei cookie

Cosa sono? Quando visitate un sito o utilizzate un app, il server su cui è ospitata invia dei dati riguardanti la navigazione al vostro dispositivo che li memorizza. Questi dati servono sia per facilitare la navigazione dell’utente (per esempio non dover inserire la password ogni volta che si accede) sia per profilarne le preferenze.
Esistono inoltre cookie di “terze parti” e di “prime parti”. Quelli di terze parti appartengono a servizi esterni che utilizzano i cookie per propri scopi, come la profanazione pubblicitaria.
All’inizio del 2020 Google ha annunciato che Chrome, il browser più utilizzato dagli utenti, non supporterà più cookie di terze parti; Apple ha lanciato Tracking Transparency, un sistema che ad ogni nuova app chiederà all’utente se permettere che questa invii all’esterno i dati che ha su di lui a fini pubblicitari.

Cosa cambia nel mondo della pubblicità online?

Quanto detto sopra significa apparentemente una maggiore privacy per gli utenti, che quindi avranno meno posti in cui controllare quali dati stanno fornendo e anche meno tracciamento all’interno di siti o app di medio-piccolo calibro.
Al di là dei tecnicismi circa i cookie, il risultato è che i cosiddetti cookie di “prima parte”, ovvero quelli che ti permettono di ricordare la password, diventano più importanti, ma da soli non bastano. In ambito pubblicitario servono grandi quantità di dati per poter profilare gli utenti, per aver molti dati servono quindi moltissimi utenti e preferibilmente anche molto attivi.
La difficoltà nel possedere questi dati, renderà i giganti del web (Google, Amazon, LinkedIn, Twitter, TikTok..) gli unici posti sicuri per gli inserzionisti pubblicitari che vogliono identificare con certezza il pubblico a cui si stanno rivolgendo, togliendo così ulteriore mercato alle app/siti di medio calibro.
Unito alla scarsa attenzione e disponibilità degli utenti, la gara sembra spostarsi su chi possiede i contenuti più interessanti a far rimanere gli utenti all’interno della propria app.

The web is closing?

In seguito a questi annunci, le mosse dei grandi colossi del web sono nella direzione di possedere al proprio interno contenuti che prima erano solamente condivisi. Facciamo alcuni esempi:
Se Facebook convince una testata editoriale a pubblicare i propri articoli direttamente sul social, invece che sul proprio sito web è molto più semplice raccogliere dati sulla lettura di quell’articolo. La differenza è che chi possiede quei dati sarà Facebook, invece del giornale.
Alla stesso modo, lo shop su Instagram permette di visitare uno shop senza uscire mai dall’app.
I grandi del web stanno diventando sempre più ricchi e funzionali, ma anche sempre più chiusi. I contenuti son sempre di più, ma sempre più esclusivi. I link sono interni e quelli esterni vengono spesso penalizzati.
Il World Wide Web nacque con collegamenti tra risorse di questo tipo e, al di là del tecnicismo, la “pluralità” era uno dei principi su cui si basava. Oggi la pluralità è in mano a pochissimi attori che ne delimitano i recinti e il paradosso è che abbiamo pagato i progressi nella sfera della privacy diminuendo quelli nella sfera del “diritto”.

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